Futuro e innovazione: quanto contano i soldi?
Desiderio di futuro e capacità di innovazione sono strettamente correlati e non centrano con i soldi.
Ho trovato grandi affinità fra Marc Andressen il coautore del primo web browser e Nassin Taleb autore di “Antifragile come prosperare nel disordine”.
Il primo afferma che per cambiare e migliorare “dobbiamo volere queste cose. Il problema è l’inerzia. Dobbiamo volere queste cose (l’apertura delle aziende) più di quanto vogliamo far sì che queste cose non accadano.”
Il secondo sostiene che l’innovazione derivi da stati di necessità e si sviluppi ben oltre il soddisfacimento dei bisogni. L’energia in eccesso che
scaturisce dall’iperreazione di fronte a una difficoltà è ciò che permette di innovare.
Il concetto pervade la letteratura classica: secondo Ovidio “le avversità aguzzano l’ingegno”. Il messaggio degli antichi è molto più profondo di quel che sembra e contraddice i metodi e le attuali concezioni di innovazione, dato che in genera si pensa che l’innovazione sia frutto dei finanziamenti, della pianificazione, degli studi all’Harvard Business School.
Si tratta di un abbaglio, continua Taleb. Per capire cosa intende basta guardare – dalla rivoluzione industriale alla Silicon Valley – il contributo che
hanno dato specialisti e imprenditori privi di istruzione.
Eppure nonostante la saggezza dispensata dagli antichi e dalle nonne, nella società attuale si cerca di innovare partendo dalle situazioni di agio, sicurezza e prevedibilità.
Anziché accettare che la necessità sia davvero la madre di ogni progresso.
L’auspicio è che i giovani prendano la palla.